mercoledì 1 ottobre 2008

ANNO IV NUMERO 9 - OTTOBRE 2008

Per comprendere il significato della Parola di Dio

Dal giorno 5 al 26 ottobre prossimo si svolge a Roma l’Assemblea del Sinodo dei vescovi sul tema” “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Questo straordinario evento di grazia ci stimola a riflettere sul significato e l’efficacia della Parola di Dio su cui si fonda la nostra fede che è anzitutto “obbedienza a Dio che parla.”. Molte sono le immagini che la Bibbia ci offre per farci comprendere il significato e la potenza straordinaria della Parola di Dio.Ne scegliamo alcune fra le tante: essa è spada, martello, fiamma di fuoco,pioggia, vino inebriante e miele, seme buono….
La Parola di Dio è come fuoco: cioè non è un’idea della mente e nemmeno un semplice messaggio ricevuto dal Signore, ma un fuoco che brucia dentro. “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9). “La mia parola non è forse come il fuoco - oracolo del Signore?” (23,29). Un fuoco che arde e consuma. Il contatto con la Parola infiamma e trasforma l’uomo. L’incontro col Dio vivo è un’esperienza di fuoco divorante. “Ecco, io farò delle mie parole come un fuoco sulla tua bocca. Questo popolo sarà la legna che esso divorerà” (5,14). Il profeta Isaia nell’esperienza della sua vocazione si era sentito bruciare la bocca e le labbra impure
da un carbone ardente che un serafino aveva preso con le molle dall’altare. Così purificato, può andare in missione (Is 6,6ss). Anche i discepoli di Emmaus fanno quest’esperienza nell’ascoltare le parole di Gesù: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32).
La Parola è come pioggia che fa germogliare la terra(Is 55,10-11) Il famoso passo di Isaia ci ricorda che la Parola di Dio non è detta mai a vuoto: ciò che Dio dice si realizza comunque
La Parola è come il cibo che riempie di dolcezza e di amarezza. L’angelo offre il libro al veggente dell’Apocalisse e dice: “Prendi e divoralo: ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele” (Ap 10,9). L’episodio s’ispira alla vocazione profetica di Ezechiele ( Ez 2,8 – 3,3). La Parola porta allo stesso tempo gioia e mal di pancia, consolazione e sofferenza. In ogni caso, è da mangiare. Di questo cibo il cristiano deve nutrirsi ogni giorno; l’uomo non può vivere «di solo pane» ( Dt 8,3; Mt 4,4; Lc 4,4): senza la Parola egli sarebbe semplicemente sopraffatto dalle varie forze che agiscono nella storia, nell’impossibilità di scorgervi qualsiasi progetto degno e meritevole di essere accolto. “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4) dice Gesù al diavolo tentatore. È la fame della Parola di Dio che avverte ogni uomo.
La Parola è come il martello che rompe anche le pietre. Nulla può resistere alla sua forza: “La mia parola non è forse… come un martello che spacca la roccia? (Ger 23,29).
Al termine del discorso programmatico del Regno di Dio, con la parabola della casa costruita sulla roccia raccontata da Gesù,la Parola stessa di Dio diventa la roccia sulla quale la casa trova sicurezza e stabilità incrollabili (Mt 7,24-25).
La Parola è come vino inebriante: “Mi si spezza il cuore nel petto, tremano tutte le mie ossa, sono come un ubriaco e come uno inebetito dal vino, a causa del Signore e delle sue sante parole” (Ger 23,9).
Gli apostoli che subito dopo Pentecoste predicano le grandi opere di Dio, sono derisi e ritenuti ubriachi ( At 2,13). La Parola ci porta fuori dal senno normale, che spinge a vivere secondo criteri mondani. La Parola di Dio è come un seme buono che ha la potenzialità di crescere, fiorire e fruttificare (Lc 8,11).
Lo sviluppo della comunità cristiana è interpretato come il crescere e il diffondersi della Parola ( At 6,7; 12,24; 13,49). La Parola di Dio è “viva, efficace e più tagliente di ogni spada”, penetra e fa luce dentro l’uomo ( Eb 4,12). Coloro che l’ascoltano si sentono trafiggere il cuore ( At 2,37). “Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto più ciò che ci sfugge… Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, ha nascosto in essa tutti i tesori” (sant’Efrem). La Parola di Dio è Gesù stesso che si dona a noi, ci parla, ci nutre, ci scuote, ci consola, ci comunica la sua volontà e il suo amore, c’illumina e ci sostiene, ci offre gioia e speranza. Sulla sua Parola possiamo contare, alla sua Parola possiamo affidarci e abbandonarci in modo sicuro. Non riduciamo la potenza di Dio racchiusa nel Vangelo. E guai a noi se non evangelizziamo ( Rm 1,16; 9,16).
Il veggente dell’Apocalisse contemplerà la cavalcata vittoriosa della Parola nella storia ( Ap. 19,11-16).Noi credenti dobbiamo avere il coraggio della Parola, coraggio che si traduce in ascolto e annuncio. Un ascolto perseverante e un annuncio coraggioso della Parola portano certamente alla fruttificazione abbondante dei germi di bene celati nei solchi della nostra terra.
Il Papa Benedetto XVI per indicare il significato e l’importanza del Sinodo sulla Parola di Dio ha affermato che la Chiesa deve sempre rinnovarsi e ringiovanire grazie alla parola di Dio che non invecchia mai né si esaurisce e che, tramite lo Spirito Santo, ci guida alla verità tutta intera.
Dalla frequentazione della Parola di Dio può sbocciare la nuova primavera spirituale della Chiesa.
Don Giuseppe Imperato

LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Nell’”Anno Paolino” si continua la catechesi del Santo Padre sull’apostolo:“La catechesi di oggi sarà dedicata all’esperienza che san Paolo ebbe sulla via di Damasco e quindi a quella che comunemente si chiama la sua conversione. Proprio sulla strada di Damasco, nei primi anni 30 del secolo I°, e dopo un periodo in cui aveva perseguitato la Chiesa, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo. Su di esso molto è stato scritto e naturalmente da diversi punti di vista. Certo è che là avvenne una svolta, anzi un capovolgimento di prospettiva. Allora egli, inaspettatamente, cominciò a considerare “perdita” e “spazzatura” tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, quasi la ragion d'essere della sua esistenza (cfr Fil 3,7-8). Che cos’era successo?
Abbiamo a questo proposito due tipi di fonti. Il primo tipo, il più conosciuto, sono i racconti dovuti alla penna di Luca, che per ben tre volte narra l’evento negli Atti degli Apostoli (cfr 9,1-19; 22,3-21; 26,4-23). Il lettore medio è forse tentato di fermarsi troppo su alcuni dettagli, come la luce dal cielo, la caduta a terra, la voce che chiama, la nuova condizione di cecità, la guarigione come per la caduta di squame dagli occhi e il digiuno. Ma tutti questi dettagli si riferiscono al centro dell’avvenimento: il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita. Lo splendore del Risorto lo rende cieco: appare così anche esteriormente ciò che era la sua realtà interiore, la sua cecità nei confronti della verità, della luce che è Cristo. E poi il suo definitivo “sì” a Cristo nel battesimo riapre di nuovo i suoi occhi, lo fa realmente vedere.
Nella Chiesa antica il battesimo era chiamato anche “illuminazione”, perché tale sacramento dà la luce, fa vedere realmente. Quanto così si indica teologicamente, in Paolo si realizza anche fisicamente: guarito dalla sua cecità interiore, vede bene. San Paolo, quindi, è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l’evidenza dell’evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di una conversione. Questo incontro è il centro del racconto di san Luca, il quale è ben possibile che abbia utilizzato un racconto nato probabilmente nella comunità di Damasco. Lo fa pensare il colorito locale dato dalla presenza di Ananìa e dai nomi sia della via che del proprietario della casa in cui Paolo soggiornò (cfr At 9,11).
Il secondo tipo di fonti sulla conversione è costituito dalle stesse Lettere di san Paolo. Egli non ha mai parlato in dettaglio di questo avvenimento, penso perché poteva supporre che tutti conoscessero l’essenziale di questa sua storia, tutti sapevano che da persecutore era stato trasformato in apostolo fervente di Cristo. E ciò era avvenuto non in seguito ad una propria riflessione, ma ad un evento forte, ad un incontro con il Risorto. Pur non parlando dei dettagli, egli accenna diverse volte a questo fatto importantissimo, che cioè anche lui è testimone della risurrezione di Gesù, della quale ha ricevuto immediatamente da Gesù stesso la rivelazione, insieme con la missione di apostolo. Il testo più chiaro su questo punto si trova nel suo racconto su ciò che costituisce il centro della storia della salvezza: la morte e la risurrezione di Gesù e le apparizioni ai testimoni (cfr. 1 Cor 15). Con parole della tradizione antichissima, che anch’egli ha ricevuto dalla Chiesa di Gerusalemme, dice che Gesù morto crocifisso, sepolto, risorto apparve, dopo la risurrezione, prima a Cefa, cioè a Pietro, poi ai Dodici, poi a cinquecento fratelli che in gran parte in quel tempo vivevano ancora, poi a Giacomo, poi a tutti gli Apostoli. E a questo racconto ricevuto dalla tradizione aggiunge: “Ultimo fra tutti apparve anche a me” (1 Cor 15,8). Così fa capire che questo è il fondamento del suo apostolato e della sua nuova vita. Vi sono pure altri testi nei quali appare la stessa cosa: “Per mezzo di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato” (cfr Rm 1,5); e ancora: “Non ho forse veduto Gesù, Signore nostro?” (1 Cor 9,1), parole con le quali egli allude ad una cosa che tutti sanno. E finalmente il testo più diffuso si legge in Gal 1,15-17: “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco”. In questa “autoapologia” sottolinea decisamente che anche lui è vero testimone del Risorto, ha una propria missione ricevuta immediatamente dal Risorto.
Possiamo così vedere che le due fonti, gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, convergono e convengono sul punto fondamentale: il Risorto ha parlato a Paolo, lo ha chiamato all’apostolato, ha fatto di lui un vero apostolo, testimone della risurrezione, con l’incarico specifico di annunciare il Vangelo ai pagani, al mondo greco-romano. E nello stesso tempo Paolo ha imparato che, nonostante l’immediatezza del suo rapporto con il Risorto, egli deve entrare nella comunione della Chiesa, deve farsi battezzare, deve vivere in sintonia con gli altri apostoli.
Solo in questa comunione con tutti egli potrà essere un vero apostolo, come scrive esplicitamente nella prima Lettera ai Corinti: “Sia io che loro così predichiamo e così avete creduto” (15, 11). C’è solo un annuncio del Risorto, perché Cristo è uno solo. Come si vede, in tutti questi passi Paolo non interpreta mai questo momento come un fatto di conversione. Perché? Ci sono tante ipotesi, ma per me il motivo è molto evidente. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto. In nessun altro modo si può spiegare questo rinnovamento di Paolo. Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l'avvenimento, l'incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e risurrezione, rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. Questo incontro è un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri. Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, è diventato per lui “spazzatura”; non è più “guadagno”, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo.
Non dobbiamo tuttavia pensare che Paolo sia stato così chiuso in un avvenimento cieco. È vero il contrario, perché il Cristo Risorto è la luce della verità, la luce di Dio stesso. Questo ha allargato il suo cuore, lo ha reso aperto a tutti. In questo momento non ha perso quanto c'era di bene e di vero nella sua vita, nella sua eredità, ma ha capito in modo nuovo la saggezza, la verità, la profondità della legge e dei profeti, se n'è riappropriato in modo nuovo. Nello stesso tempo, la sua ragione si è aperta alla saggezza dei pagani; essendosi aperto a Cristo con tutto il cuore, è divenuto capace di un dialogo ampio con tutti, è divenuto capace di farsi tutto a tutti. Così realmente poteva essere l'apostolo dei pagani.
Venendo ora a noi stessi, ci chiediamo che cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo. Certamente Egli non si mostra a noi in questo modo irresistibile, luminoso, come ha fatto con Paolo per farne l'apostolo di tutte le genti. Ma anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre tutta la saggezza di Cristo e tutta la ricchezza della verità. Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l'incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo.”
Benedetto XVI, 3 settembre 2008

Vivere la fraternità universale nel Mese Missionario

Ogni anno, la festa di Santa Teresa del Bambino Gesù, proclamata nel 1927 Patrona delle Missioni con San Francesco Saverio, caratterizza l’inizio dell’Ottobre Missionario che anche quest’anno avrà il culmine nella celebrazione della 82° Giornata Missionaria, Domenica 26 Ottobre 2008. Le iniziative del Mese Missionario ricordano il dovere di ogni battezzato di collaborare alla Missione universale della Chiesa.Ogni settimana dell’Ottobre Missionario viene dedicato ad un tema specifico: contemplazione -vocazione –responsabilità- carità –ringraziamento; la preghiera individuale e comunitaria, la promozione ed il sostegno delle vocazioni missionarie, sono essenziali per rilanciare con coraggio la Missione“ad gentes”. “ Guai a me se non predicassi il Vangelo!” è il tema scelto per la 82° Giornata Missionaria Mondiale da Sua Santità Benedetto XVI,nel Messaggio per la Giornata Missionaria 2008. Egli ha indicato San Paolo,l’Apostolo delle genti ,( di cui si celebra quest’anno uno speciale giubileo ) come modello dell’impegno apostolico da seguire , “per propagare fino agli estremi confini del mondo l’annuncio del Vangelo, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.” Il Santo Padre pone l’accento ed invita a riflettere sulla sofferenza del mondo di oggi, afflitto da violenze,povertà,discriminazioni, ingiustizie; l’Umanità sembra quasi senza futuro. Per noi credenti la risposta al futuro viene dal Vangelo, come Benedetto XVI scrive nella lettera Enciclica “Spe salvi “.E’Cristo il nostro futuro,” il suo Vangelo è comunicazione che "cambia la vita", dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo (cfr n. 2).” Annunciare la salvezza di Cristo è una questione d’amore per ogni cristiano, ci dice il Santo Padre, nel suo messaggio e l’Apostolo Paolo ci insegna le tappe del cammino “ la scoperta del tesoro nascosto : la gioia di essere amati dal Padre Buono, di riconoscersi concretamente fratelli e sorelle. Dio si dona in Cristo,Salvatore e Fratello universale; Egli apre alla salvezza tutti, anche chi non lo sa o non lo conosce.” Il Santo Padre in “ Deus caritas est”, ci dice che Dio è Amore e conduce la Chiesa verso le frontiere dell’umanità suscitando nel cuore degli evangelizzatori il desiderio di abbeverarsi alla Sorgente originaria che è Cristo dal cui cuore trafitto scaturisce l’Amore di Dio. San Paolo,infatti, ci conferma tutto ciò nella Lettera ai Galati affermando “ Non sono più io che vivo,ma è Cristo che vive in me !” ( Gal ,2,20 ). E’ Cristo la fonte da cui attingere le energie necessarie per donare agli altri accoglienza, tenerezza, disponibilità, condivisione. Il Mese Missionario,dunque, come momento opportuno per testimoniare Cristo con la nostra vita, e far sentire la nostra vicinanza e la nostra solidarietà a coloro che operano in terre lontane non solo con l’aiuto economico , con la collaborazione ed il mutuo sostegno, ma anche con la preghiera,la Comunione di Spirito , per sentirci una Famiglia Universale in Cristo Gesù.
Giulia Schiavo

DAL MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


Si riportano alcuni passi del messaggio di Sua Santità Benedetto XVI per la giornata missionaria mondiale, 19 ottobre 2008.
“Cari fratelli e sorelle,
in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, vorrei invitarvi a riflettere sull’urgenza che permane di annunciare il Vangelo anche in questo nostro tempo. Il mandato missionario continua ad essere una priorità assoluta per tutti i battezzati, chiamati ad essere "servi e apostoli di Cristo Gesù" in questo inizio di millennio. Il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, affermava già nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi che "evangelizzare è la grazia, la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda" (n. 14). Come modello di questo impegno apostolico, mi piace indicare particolarmente san Paolo, l’Apostolo delle genti, poiché quest’anno celebriamo uno speciale giubileo a lui dedicato. È l’Anno Paolino, che ci offre l’opportunità di familiarizzare con questo insigne Apostolo, che ebbe la vocazione di proclamare il Vangelo ai Gentili, secondo quanto il Signore gli aveva preannunciato: "Va’, perché io ti manderò lontano, tra i pagani" (At 22,21). Come non cogliere l’opportunità offerta da questo speciale giubileo alle Chiese locali, alle comunità cristiane e ai singoli fedeli, per propagare fino agli estremi confini del mondo l’annuncio del Vangelo, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16)?
1. L’umanità ha bisogno di liberazione
L’umanità ha bisogno di essere liberata e redenta. La creazione stessa - dice san Paolo – soffre e nutre la speranza di entrare nella libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8,19-22). Queste parole sono vere anche nel mondo di oggi. La creazione soffre. L’umanità soffre ed attende la vera libertà, attende un mondo diverso, migliore; attende la "redenzione". E in fondo sa che questo mondo nuovo aspettato suppone un uomo nuovo, suppone dei "figli di Dio". Vediamo più da vicino la situazione del mondo di oggi. Il panorama internazionale, se da una parte presenta prospettive di promettente sviluppo economico e sociale, dall’altra offre alla nostra attenzione alcune forti preoccupazioni per quanto concerne il futuro stesso dell’uomo. La violenza, in non pochi casi, segna le relazioni tra gli individui e i popoli; la povertà opprime milioni di abitanti; le discriminazioni e talora persino le persecuzioni per motivi razziali, culturali e religiosi, spingono tante persone a fuggire dai loro Paesi per cercare altrove rifugio e protezione; il progresso tecnologico, quando non è finalizzato alla dignità e al bene dell’uomo né ordinato ad uno sviluppo solidale, perde la sua potenzialità di fattore di speranza e rischia anzi di acuire squilibri e ingiustizie già esistenti. Esiste inoltre una costante minaccia per quanto riguarda il rapporto uomo-ambiente dovuto all’uso indiscriminato delle risorse, con ripercussioni sulla stessa salute fisica e mentale dell’essere umano. Il futuro dell’uomo è poi posto a rischio dagli attentati alla sua vita, attentati che assumono varie forme e modalità. Dinanzi a questo scenario "sentiamo il peso dell’inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia" (Cost. Gaudium et spes, 4) e preoccupati ci chiediamo : che ne sarà dell’umanità e del creato? C’è speranza per il futuro, o meglio, c’è un futuro per l’umanità? E come sarà questo futuro? La risposta a questi interrogativi viene a noi credenti dal Vangelo. È Cristo il nostro futuro e, come ho scritto nella Lettera enciclica Spe salvi, il suo Vangelo è comunicazione che "cambia la vita", dona la speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo (cfr n. 2). San Paolo aveva ben compreso che solo in Cristo l’umanità può trovare redenzione e speranza. Perciò avvertiva impellente e urgente la missione di "annunciare la promessa della vita in Cristo Gesù" (2 Tm 1,1), "nostra speranza" (1 Tm 1,1), perché tutte le genti potessero partecipare alla stessa eredità ed essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo (cfr Ef 3,6). Era cosciente che priva di Cristo, l’umanità è "senza speranza e senza Dio nel mondo (Ef 2,12) – senza speranza perché senza Dio" (Spe salvi, 3). In effetti, "chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (Ef 2,12)" (ivi, 27).
2. La Missione è questione di amore
È dunque un dovere impellente per tutti annunciare Cristo e il suo messaggio salvifico. "Guai a me – affermava san Paolo – se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Sulla via di Damasco egli aveva sperimentato e compreso che la redenzione e la missione sono opera di Dio e del suo amore. L’amore di Cristo lo portò a percorrere le strade dell’Impero Romano come araldo, apostolo, banditore, maestro del Vangelo, del quale si proclamava "ambasciatore in catene" (Ef 6,20). La carità divina lo rese "tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,22). Guardando all’esperienza di san Paolo, comprendiamo che l’attività missionaria è risposta all’amore con cui Dio ci ama. Il suo amore ci redime e ci sprona verso la missio ad gentes; è l’energia spirituale capace di far crescere nella famiglia umana l’armonia, la giustizia, la comunione tra le persone, le razze e i popoli, a cui tutti aspirano (cfr Enc. Deus caritas est, 12). È pertanto Dio, che è Amore, a condurre la Chiesa verso le frontiere dell’umanità e a chiamare gli evangelizzatori ad abbeverarsi "a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio" (Deus caritas est, 7). Solo da questa fonte si possono attingere l’attenzione, la tenerezza, la compassione, l’accoglienza, la disponibilità, l’interessamento ai problemi della gente, e quelle altre virtù necessarie ai messaggeri del Vangelo per lasciare tutto e dedicarsi completamente e incondizionatamente a spargere nel mondo il profumo della carità di Cristo.
3. Evangelizzare sempre
Mentre resta necessaria e urgente la prima evangelizzazione in non poche regioni del mondo, scarsità di clero e mancanza di vocazioni affliggono oggi varie Diocesi ed Istituti di vita consacrata. È importante ribadire che, pur in presenza di crescenti difficoltà, il mandato di Cristo di evangelizzare tutte le genti resta una priorità. Nessuna ragione può giustificarne un rallentamento o una stasi, poiché "il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la vita e la missione essenziale della Chiesa" (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Missione che "è ancora agli inizi e noi dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio" (Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 1). Come non pensare qui al Macedone che, apparso in sogno a Paolo, gridava: "Passa in Macedonia e aiutaci"? Oggi sono innumerevoli coloro che attendono l’annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore. Quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto che si leva dall’umanità, lasciano tutto per Cristo e trasmettono agli uomini la fede e l’amore per Lui! (cfr Spe salvi, 8).”

In Ascolto dei giovani



Per tanti di noi, soprattutto studenti, in questo periodo inizia il grande tempo dell’ordinarietà, perchè con esso si riprendono le attività scolastiche ed educative. Anche nelle le nostre comunità parrocchiali questo è il mese in cui dopo un lungo periodo di riposo si programmano e ripartono le attività formative per tutte le fascedi età. Infatti, il prossimo 4 ottobre ugualmente per la nostra parrocchia parte di nuovo il catechismo dei fanciulli, la preparazione dei bambini al Sacramento della Riconciliazione e della Comunione, la preparazione dei giovani al sacramento della Cresima, la formazione degli adulti e giovani di Azione Cattolica e per questo nuovo anno pastorale stiamo programmando per i giovani un corso speciale di formazione alla fede. Si, per i giovani di Ravello che sono più lontani dalle comunità parrocchiali, per quei giovani che hanno tante cose da dirci, a cui la comunità deve prestare massima attenzione e premura. Vogliamo ascoltare le loro difficoltà, le loro esigenze, quello che si aspettano da noi. Tutti noi educatori, catechisti, genitori dobbiamo ascoltare i nostri giovani che oggi sempre di più sono tentati di chiudersi nel loro mondo, omologati come sono dalla cultura superficiale in cui sono immersi. Dobbiamo parlare di ascolto non come premessa alla specifica missione di quest’anno, ma come modalità attuativa della medesima. Ascoltare, infatti, è atto mediante il quale si può stabilire una relazione positiva tra le persone, una relazione in cui si può accogliere la testimonianza, in parole ed opere, della novità evangelica. Ascoltare i nostri giovani, non rappresenta solo un espediente strumentale, ma diviene per la nostra parrocchia una precisa scelta pastorale. A noi educatori sta il compito di assumere appropriate categorie interpretative, che ci aiutino a conoscere e a comprendere le loro domande di sempre, le loro nuove culture, i loro linguaggi sempre più variegati e i nuovi strumenti con cui oggi si esprimono. Tutte queste categorie che appartengono ai giovani sono forme e modalità spesso di non facile interpretazione per il mondo degli adulti. Tutti noi dobbiamo evitare atteggiamenti di rifiuto per il loro modo di pensare e per la loro cultura, dobbiamo giungere a discernere il vero che queste culture presentano oggi sotto le vesti del nuovo, cosi come ci hanno insegnato i nostri Vescovi nel documento Educare i giovani alla fede. Nella vita spesso distratta e mondana dei nostri amici c’è una verità nascosta da tirare fuori, scoprirla, e accoglierla è decisivo per la nostra comunità. Tutta la comunità è chiamata a fare una pastorale giovanile, tutti noi siamo interpellati a dare una mano per i giovani. È la comunità che chiama i giovani alla fede e non il singolo catechista che per quanto abbia carisma da solo non è sufficiente in questo compito importante. Tutti, incominciando dalle famiglie, il parroco, i catechisti, i responsabili del settore giovani e perfino gli addetti al culto fanno e devono fare pastorale giovanile. La nostra parrocchia, nei luoghi, nelle persone e nelle attività deve essere una sede accogliente per il giovane che passa. Deve essere il luogo del religioso ascolto da attuare, non solo in relazione alla Parola di Dio scritta, ma a quella Parola che Dio pronuncia oggi attraverso la storia personale e collettiva e mediante le generazioni che in essa si succedono. Abbiamo bisogno della Scrittura per decifrare il mistero divino presente nell’uomo e nella sua storia, ma abbiamo anche bisogno di saper leggere l’umanità in tutto ciò che possiede di buono,bello e valido per accogliere in tutta la sua attualità la Parola di Dio che risuona nella nostra storia presente. Il nostro bellissimo Duomo deve essere, per noi di Ravello, la coniugazione dei due ascolti, affinché diventi spazio in cui si annunci efficacemente il Vangelo a tutti, anche ai più giovani. Se consideriamo che quella Parola di Dio è l’uomo Gesù, allora è chiaro che l’incontro oggi con la sua persona vivente non può non passare attraverso l’incontro concreto con i volti di uomini e donne: di coloro che appartengono più strettamente alla Chiesa, ma anche di tutti coloro nei quali Cristo ha indicato se stesso presente: i poveri, i piccoli, i marginati. Un luogo adatto a tale compito però non è sufficiente per annunciare fino in fondo la Buona Novella; c’è bisogno anche che essa venga testimoniata, c’è bisogno di giovani che abbiano il coraggio si saper testimoniare Cristo, come ha esortato il Santo Padre Benedetto XVI nella sua visita Apostolica a Parigi, lo scorso 12 settembre. Il Papa ha detto ai giovani presenti alla veglia e a tutti noi che lo abbiamo seguito attraverso la Tv: voi siete nell’età della generosità. È urgente parlare di Cristo attorno a voi, alle vostre famiglie e ai vostri amici, nei vostri luoghi di studio, di lavoro o divertimento. Non abbiate paura! Abbiate il coraggio di vivere il Vangelo e l’audacia di proclamarlo . Per questo io vi incoraggio a trovare le parole adatte per annunciare Dio intorno a voi, poggiando la vostra testimonianza sulla forza dello Spirito implorata nella preghiera. Portate la Buona Novella ai giovani della vostra età e anche agli altri. Essi conoscono le turbolenze degli affetti, la preoccupazione e l’incertezza di fronte al lavoro ed agli studi. Affrontano sofferenze e fanno l’esperienza di gioie uniche. Rendete testimonianza di Dio, perché, in quanto giovani, voi fate pienamente parte della comunità cattolica in virtù del vostro battesimo e in ragione della comune professione di fede (cfr. Ef 4, 5). La Chiesa conta su di voi, ci tengo a dirvelo! Queste parole così profonde sono rivolte anche a voi giovani di Ravello: non aprite il vostro cuore solo al mero interesse e al divertimento di questa società, ma spalancatelo alla Gioia vera che è Cristo Gesù. Accogliendo il nostro invito avremo l’occasione di conoscerci meglio,ascoltarci e percorrere insieme il cammino della scoperta del vero senso della fraternità.
Giuseppe Milo

Nella festa di S. Francesco inizia l’anno catechistico


Cari Genitori,
il 4 ottobre p.v. alle ore 16.00, ci ritroveremo tutti, genitori e fanciulli, nella Chiesa di Santa Maria a Gradillo per dare inizio al nuovo anno catechistico. Per questo e soprattutto perché questo cammino possa dare i suoi frutti, noi abbiamo bisogno della Vostra collaborazione. Il catechismo ha un valore grandissimo nella crescita dei Vostri ragazzi perché permette loro di maturare nella fede alla scuola di un grande maestro che è Gesù; soprattutto permette loro di conoscere attraverso gli incontri settimanali una regola di vita improntata al rispetto per gli altri, alla giustizia e senza alcun dubbio all’Amore. Quell’Amore con l’A maiuscola che Gesù ci ha dimostrato morendo per salvarci, quell’Amore che fa la differenza tra chi sopravvive tra le vicende della vita e chi invece vive pienamente il dono che Dio ci ha fatto. Vi chiediamo, quindi, di collaborare con noi per non privare i Vostri figli di crescere da buoni Cristiani, calati nella storia di questo tempo ma con lo sguardo rivolto ai valori fondamentali, quali il rispetto della vita e del prossimo, la fede, la famiglia. Anche se viviamo una piccola realtà urbana, quale è Ravello, anche i Vostri ragazzi, specialmente s nell’età dell’adolescenza, sono sottoposti a continue sollecitazioni che li distraggono da quella crescita sana con cui siete stati allevati anche Voi, essi vivono esperienze che Voi avete fatto quando eravate già più grandi e quindi più maturi, essi vedono e sentono cose che richiedono maturità di giudizio e di scelta. Lo sappiamo Voi li seguite con amore e li educate alla vita con tutte le attenzioni di cui siete capaci. Forse il nostro contributo può essere letto in un’ottica di ampliamento di questo cammino formativo ed educativo: noi, con il catechismo, possiamo offrire ai vostri figli un momento di crescita nella fede aggiuntivo al percorso di maturazione da cristiani che Voi fate fare loro a casa. Però perché questa sfida giunga a successo, noi non possiamo non chiedere la Vostra collaborazione: siate genitori solleciti nel ricordare ai ragazzi l’appuntamento settimanale con l’ora di catechismo e soprattutto l’incontro domenicale con Gesù. “Senza la Domenica non possiamo vivere”, questa era l’esclamazione dei cristiani di Abitene di fronte al martirio per la fede in Gesù; facciamo nostra questa espressione perché anche i nostri giorni siano un continuo scambio di Amore con Dio. Quest’anno, durante il cammino di formazione, ci saranno anche degli incontri per i genitori: non Vi preoccupate sarà un unico incontro mensile della durata di 45 minuti, durante il quale cercheremo di leggere il vissuto quotidiano attraverso la luce della fede. Sarà un cammino importante per Voi, che avrete la possibilità di maturare la Vostra fede, e per i Vostri figli, che vedranno nei genitori lo stile di vita che proponiamo negli incontri di catechesi. All’inizio di questo percorso, che noi vogliamo leggere come un viaggio avventuroso che ci porterà a rispondere a domande, a leggere sui volti dei Vostri ragazzi gioie e delusioni, a incontrare curiosità ed indifferenza, Vi chiediamo solo di aiutarci: siete i benvenuti agli incontri settimanali che terremo in Duomo e nella Chiesa di S. Maria a Gradillo, Vi aspettiamo in tutte le occasioni di crescita spirituale che sono organizzate nella Parrocchia, dall’Adorazione alla Lectio divina. Lo sappiamo la vita dei genitori, e soprattutto delle mamme, è superimpegnata (anche alcuni di noi sono genitori!), ma se riuscirete a ritagliare un po’ del Vostro tempo per maturare nella fede, vedrete che anche tutto il resto migliorerà.
Buon anno catechistico a Voi, ai Vostri figli e a presto!!!!
Ravello, 21 settembre 2008
I Catechisti